tag:blogger.com,1999:blog-4565845984512808077.post4078897088942807154..comments2024-03-19T21:41:42.835+01:00Comments on Poemas del río Wang: Pictures from the boxStudiolumhttp://www.blogger.com/profile/06377777909296284368noreply@blogger.comBlogger16125tag:blogger.com,1999:blog-4565845984512808077.post-1306737599484417082014-01-01T16:48:53.026+01:002014-01-01T16:48:53.026+01:00Yes, I think it is the right word. The difference ...Yes, I think it is the right word. The difference between “threshing” and “gleaming” is moreor less the same like between “csépel” and “tallóz” in Hungarian.Studiolumhttps://www.blogger.com/profile/06377777909296284368noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4565845984512808077.post-28441045662013907872014-01-01T16:15:23.470+01:002014-01-01T16:15:23.470+01:00'Trebbiare' sound like what is known in En...'Trebbiare' sound like what is known in English as 'gleaning'. For example there is the famous 1857 painting by Millet called 'The Gleaners'.Lloyd Dunnhttps://www.blogger.com/profile/08215855379263509739noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4565845984512808077.post-4870122898946297472014-01-01T16:05:48.509+01:002014-01-01T16:05:48.509+01:00Yes, perhaps you are right and I made a too litera...Yes, perhaps you are right and I made a too literal translation from the original Italian caption’s “battere il grano”. But the Italian also has the verb “trebbiare”, and it might be meaningful that this miserable operation, beating the grain out of what remained in the field after the harvest, is indicated with “beating” and not with “threshing”.Studiolumhttps://www.blogger.com/profile/06377777909296284368noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4565845984512808077.post-36415349488649549822014-01-01T10:30:37.959+01:002014-01-01T10:30:37.959+01:00I thought that "beating the ears of the wheat...I thought that "beating the ears of the wheat" is called "threshing". Sometimes they used animals. Remember there is also the most beautiful Biblical command:<br /><br />Thou shalt not muzzle the ox when he treadeth out the corn.<br /><br />(Sometimes he was muzzled to prevent him from eating while working.)anagastohttps://www.blogger.com/profile/12173541768886884924noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4565845984512808077.post-90554250899483095632011-02-25T15:48:54.632+01:002011-02-25T15:48:54.632+01:00Sì. Queste foto sì che riflettono molto più fedelm...Sì. Queste foto sì che riflettono molto più fedelmente la realtà. La stessa realtà che anch’io conosco di quelle foto che rappresentano nelle stesse condizioni l’armata ungherese in ritirata dallo stesso Don, fra cui duecentomila non sono ritornati. Ma per me le foto del ragazzo non escludono questa realtà finché il lettore (o l’editore) non la vuole escludere.Studiolumhttps://www.blogger.com/profile/06377777909296284368noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4565845984512808077.post-2307814926250759032011-02-24T12:00:18.601+01:002011-02-24T12:00:18.601+01:00Alcune annotazioni a corredo delle foto precedenti...Alcune annotazioni a corredo delle foto precedenti:<br />I soldati dell'ARMIR (Armata Italiana in Russia) sono armati ancora con il vecchio fucile 1891, i fucili mitragliatori e le mitragliatrici più moderne soffriranno le rigidissime temperature invernali inceppandosi, i trenta carri armati L6/40 hanno corazze che non resistono ai fucili anticarro sovietici, le batterie anticarro con i pezzi da 47 sono inadatti a fermare i T-34 russi. Anche la logistica è carente: radio e automezzi sono scarsi, derrate e vestiario sono insufficienti (ogni reparto si arrangia come può a danno delle già scarse risorse della popolazione contadina locale). I soldati riescono a sopravvivere soltanto grazie a indumenti civili portati da casa, le scarpe però sono sempre le stesse della campagna di Grecia (valide per tutti gli scenari bellici, dal Sahara alla Russia), marciscono ben presto e diventano responsabili, insieme alle fasce che stringono i polpacci, dei tanti congelamenti agli arti inferiori. Nelle retrovie imperversano lo sciacallaggio e la borsa nera sui pacchi viveri e vestiario provenienti dalle famiglie <br />E poi, alla fine: <br />Ormai quella della colonna in ritirata è diventata una corsa affannosa, cui moltissimi non riescono a partecipare, si sdraiano, si siedono sfiniti sui bordi delle piste, a centinaia, implorano aiuto, ma la colonna non può fermarsi, i più deboli sono abbandonati a un tragico destino di morte. I validi proseguono, con disperazione, sono ormai senza viveri, ne fanno le spese i muli che uno dopo l'altro vengono abbattuti, rapidamente fatti a pezzi e mangiati. Sono scene allucinanti tra i gemiti, le urla dei feriti, di quelli colpiti da cancrena, i quali ormai sanno che saranno abbandonatiEffenoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4565845984512808077.post-39121336189042847122011-02-24T11:44:09.174+01:002011-02-24T11:44:09.174+01:00Per muoversi lungo quella distanza, lascio l’indic...Per muoversi lungo quella distanza, lascio l’indicazione di altre fotografie - un paio delle quali sembrano ricondurre proprio all’Armata a cavallo, tanto per chiudere il cerchio - che meglio ricordano (lo sappiamo tutti, in realtà) cos’è stata la campagna di Russia dell’esercito italiano nel ’41-’43: assideramento, fame, fatica, sconfitta.<br /><a href="http://www.mentecritica.net/wp-content/uploads/armir01.jpg" rel="nofollow">1</a> <br /><a href="http://italian.ruvr.ru/data/532/179/1234/ritirata.jpg" rel="nofollow">2</a> <br /><a href="http://www.giornaledibarga.it/binary_files/articoli/Alpini_russia_46291.jpg" rel="nofollow">3</a> <br /><a href="http://img177.imageshack.us/img177/5024/nikolajewka2f679a9fhf2.jpg" rel="nofollow">4</a> <br /><a href="http://www.anaconegliano.it/images/sezione/2005/2005unirr05.jpg" rel="nofollow">5</a>Effenoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4565845984512808077.post-51651156780660321642011-02-24T11:02:10.942+01:002011-02-24T11:02:10.942+01:00Francesca e Studiolum,
questo scambio mi è stato u...Francesca e Studiolum,<br />questo scambio mi è stato utile per focalizzare meglio quella che considero una nota stonata. A stridere non è solo il racconto della guerra che fa a se stesso quel ragazzo di vent’anni nel 1942 (e che pochi, a quell’epoca, avessero aperto gli occhi, non lo credo; dopo meno di un anno, con l’otto settembre 1943, sarebbe iniziata – evidentemente non nascendo dal nulla - l’esperienza della Resistenza; e chissà cosa ne ha raccontato, quello stesso ragazzo). La nota stonata è il progetto editoriale che, oggi, ci propone quella stessa visione, estetizzante e falsa, della guerra italiana in Russia. Il libro può essere un documento storiografico interessante proprio per quello che non c’è, per quello che manca, che è taciuto, ignorato, dimenticato. E’ una valenza per negazione, si potrebbe dire, o in absentia. Vale, ma solo per la distanza che lo separa dalla verità.Effenoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4565845984512808077.post-20383349929295084432011-02-23T20:55:28.719+01:002011-02-23T20:55:28.719+01:00Capisco la questione della cecità. Credo però che ...Capisco la questione della cecità. Credo però che se avesse voluto censurare o censurarsi, allora non avrebbe fotografato affatto. Nel suo caso, ho avuto la sensazione che invece lui fotografasse quello che sentiva (forse anche a contrario, come reazione, sì, Effe) e non quello che vedeva. Poi giustamente il discorso si complica per gli influssi dell'estetica del tempo, come ha detto Studiolum, che colpiscono in egual misura la fotografia e la letteratura (aah, Babel).<br /><br />La questione delle didascalie. Lì vado ancora a sensazioni - come in tutto, del resto - ma lì ancora di più. Ho pensato: le estraevano dalla scatola in famiglia, le fotografie. Il padre le commentava. Ecco, se era un riunirsi periodico e familiare attorno a quel nucleo di memoria, ho pensato che potesse aver sviluppato nel tempo delle parole stabilite, una codificazione a parole del ricordo e quindi che le didascalie fossero il risultato di questo percorso, una cristallizzazione delle parole del protagonista nel tempo. Ma magari mi sbaglio e han fatto veramente tutto i figli e/o l'editore. <br /><br />Grazie in ogni caso ad entrambi per gli interventi e la pazienza.francescahttps://www.blogger.com/profile/13096867858651484894noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4565845984512808077.post-30527064133814455642011-02-23T19:15:56.019+01:002011-02-23T19:15:56.019+01:00Due cose ancora. Il primo che sì, Effe, hai ragion...Due cose ancora. Il primo che sì, Effe, hai ragione in quanto dici sulla cecità del ragazzo. Ma non è appunto Revelli che dice che c’erano ben pochi nell’epoca che sono riusciti di rimuovere il copriobiettivo della propria coscienza? E qui penso anche alla coscienza visuale, severamente sorvegliata nelle società totalitare dell’epoca.<br /><br />L’altro è solo una curiosità: che per i lettori russi di Río Wang, che sicuramente non devono essere messi al corrente rispetto alla natura della guerra e del nemico, questo post con queste foto presentava qualcosa di inaspettato: vedi per esempio <a href="http://one-way.livejournal.com/507636.html" rel="nofollow">qua</a> (“il nemico con la faccia di uomo”), o <a href="http://twitter.com/slavicpolymath/status/40061747289276416" rel="nofollow">qua.</a>Studiolumhttps://www.blogger.com/profile/06377777909296284368noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4565845984512808077.post-81644683504229168702011-02-23T19:04:37.683+01:002011-02-23T19:04:37.683+01:00Per giustamente giudicare queste foto si deve rend...Per giustamente giudicare queste foto si deve rendere conto anche del ruolo sociale della fotografia nell’epoca, e anche dei modelli che un dilettante fotografo ventenne, nato nell’anno della Marcia su Roma, poteva conoscere ed imitare. Pur non conoscendo di fondo il materiale fotografico pubblicato nelle riviste dell’Italia dell’epoca, credo che la loro maggioranza rappresentava in maniera più o meno edulcorata i momenti festivi – o comunque “degni” di rappresentare – della vita, ed era a questi momenti che la fotografia come pratica sociale era riservata. Non credo che la fotografia sociografica, la rappresentazione della vita dura, brutta e sincera – quella tanto apprezzata nel cinema neorealista – abbia avuto grande influenza nei tempi di Mussolini, quando pure nell’Ungheria, che nell’epoca con Kertész, Capa, Brassaï, Moholy-Nagy ed altri era all’avanguardia della fotografia, si era appena infiltrata. Se presso le famiglie di contadini ungheresi fra le migliaie di foto sopravvissute che io ho visto lavorando presso un museo di provincia non c’era nessuna che rappresentava il lato brutto della vita, allora non c’è da meravigliare se anche il ragazzo italiano ha naturalmente selezionato i momenti “belli” per registrare, non considerando quelli “brutti” o “comuni” degni da fotografare.<br /><br />Per quanto alle didascalie e alla loro relazione con il soggetto delle foto, si deve essere molto attenti. Benché scritte nella prima persona, io dubito che siano veramente formulate da una persona quasi novantenne al momento della composizione e pubblicazione del libro. Ritengo più verosimile che siano i figli che hanno descritto (o raccontato) all’editore del volumetto ciò che il padre gli aveva raccontato a proposito di ciascun luogo rappresentato nelle foto. E’ naturale che il risultato di una simile catena di trasmissione abbia già poco da dire dei sentimenti del protagonista settant’anni fa.Studiolumhttps://www.blogger.com/profile/06377777909296284368noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4565845984512808077.post-44734654431327139362011-02-23T10:31:40.242+01:002011-02-23T10:31:40.242+01:00Francesca, condivido il tuo ragionamento; d’altro ...Francesca, condivido il tuo ragionamento; d’altro canto, anche io nel “leggere” le foto ho operato in modo più o meno consapevole una selezione, trattenendo solo quello che un po’ mi ha urtato. E quello che mi ha urtato è l’ottica estetizzante della guerra, la sua versione da cartolina, da propaganda e, come dire, a prova di censura (mi riferisco evidentemente, al fotografo, non a te).<br />Queste fotografie sono utili a testimoniare, per l’appunto, una visione distorta, edulcorata e presumo inculcata della guerra, che invece non ha mai nessuna bellezza. Nemmeno in un pur bel libro come L’Armata a cavallo (che queste foto di retrovie mi hanno richiamato alla mente), la guerra è qualcosa che si possa ritrarre in una bella foto da inviare a casa con saluti e baci.<br />Interessante la tua osservazione sui ragazzini di Lvov, che in effetti restano solo nelle parole (e vengono annotati, mi pare, anche con un certo distacco, come nella nota di un entomologo); nella foto, invece c’è solo un insieme freddo e ordinato (forse l’ordine ha una funzione rassicurante e apotropaica, in mezzo al caos della guerra) di mezzi meccanici, un insieme da cui la vita, e la morte, sono prudentemente escluse.<br />In definitiva: personalmente non vedo sogni, in queste foto, ma solo cecità, come se il fotografo si fosse dimenticato, prima di scattarle, di rimuovere il copriobbiettivo della propria coscienza.<br />Grazie, in ogni caso, per l’opportunità di questo confronto.Effenoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4565845984512808077.post-14183086162773762222011-02-23T00:03:00.363+01:002011-02-23T00:03:00.363+01:00Perdona la pedanteria e probabilmente la ridondanz...Perdona la pedanteria e probabilmente la ridondanza, Effe, ma queste cose non ci sono perché le foto sono una selezione (mia, soggettiva) di una selezione (le foto pubblicate) di una selezione (le foto consegnate all'editore) di una selezione (i fotogrammi effettivamente estratti dal fluire del film della realtà vista) di una selezione (la realtà vista) di una selezione (la realtà) di una selezione (qualche mese di permanenza in Russia, prima del dicembre del 1942 e apparentemente mai in prima linea).<br />La prima selezione, l'unica su cui sono potuta intervenire, l'ho operata con difficoltà, perché avrei voluto copiarle tutte (c'è anche la sua Sertum) e - per le tue stesse perplessità - proprio perché mancava la guerra. Anche le ultime foto, prese all'inizio dell'inverno, di cui qui non c'è traccia, mi avevano lasciato più di qualche dubbio: una didascalia, ad esempio, riporta una temperatura di -31°C e nella foto corrispondente il soldato posa ancora una volta solitario, ancora durante la guardia al nulla, in cappotto e con berretto di pelo di coniglio (in un'altra con un normale berretto di lana) in assenza di visibili sofferenze o fatiche. Alla fine mi sono convinta, nonostante i miei dubbi, a pubblicarle così, anche (e forse proprio) perché contrarie alle nostre comuni aspettative. Aggiungo che in certi casi è la didascalia ad avere attirato la mia attenzione. Pensa al suo incontro con i ragazzini del ghetto di Leopoli. Li ha visti, ne ha viste le condizioni di reietti, ne ha visto la fame e la povertà: dopo la multipla selezione detta, ma prima che facessi la mia, non se ne trova traccia se non nel microracconto della didascalia sotto i camion Fiat. Io ne ho dedotto il carattere di quel particolare soldato, il suo senso di umanità, forse di pudore, più che il senso di una testimonianza storica completa. È Manfrini che vediamo o, meglio, sono i suoi desideri dei suoi vent'anni che vediamo, nient'altro. Come in ogni foto, del resto. Ed è grazie a te che ho potuto ragionarci un po' di più stasera, sperando di essere riuscita in qualche modo anche ad esprimerlo.<br /><br />Grazie per la traduzione, Studiolum. Sì, nell'originale dice Parabellum.francescahttps://www.blogger.com/profile/13096867858651484894noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4565845984512808077.post-6008071869780450792011-02-22T20:42:46.312+01:002011-02-22T20:42:46.312+01:00A change of comments between an old reader, blist,...A change of comments between an old reader, blist, and me in the Hungarian version of Río Wang:<br /><br />blist:<br />“I do not know whether the memories of the old man are imprecise or the translation, but on picture 15 we do not see a Parabellum.<br />By Parabellum we usually understood the 9x19 munition as well as the weapons using it, chiefly the Luger (P08 or P38) guns, while the young Italian soldier has a Soviet PPS-41 machine gun in the hand, which used a 7,62x25 (so-called TT) munition.<br />However, it is also true that a part of the seized weapons were transformed for the use of the Wehrmacht by the change of the barrel to use 9x19 munition.<br />And for the preparation to war [para bellum] it is all the same…”<br /><br />Studiolum:<br />“Thank you for the precisation. Francesca in the original Italian post adopted without change the captions of the Italian album published in 2010, where they also wrote Parabellum. It was perhaps Manfrini who did not remember well or, what is more probable, he did not use the Soviet weapon too much (given that he did not spend a long time on the front anyway), and this – mistaken – name put roots in his memory.”Studiolumhttps://www.blogger.com/profile/06377777909296284368noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4565845984512808077.post-17169169865346894362011-02-22T15:14:36.335+01:002011-02-22T15:14:36.335+01:00Grazie, Effe! Ho tradotto questo commento anche pe...Grazie, Effe! Ho tradotto questo commento anche per la versione ungherese. Sí, infatti, queste immagini sono troppo idilliche se si pensa com’era la guerra e com’è finita. Ma penso che questa bellezza rifletta più l’innocenza del ragazzo che le ha scattate e la bellezza che lui era capace di vedere anche in quella miseria umana.Studiolumhttps://www.blogger.com/profile/06377777909296284368noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4565845984512808077.post-27646448912917314262011-02-22T10:48:10.182+01:002011-02-22T10:48:10.182+01:00Qui l’immagine di una Sertum militare (la Sertum,...Qui l’immagine di una Sertum militare (la Sertum, casa italiana, produsse motociclette dal 1932 al 1952):<br />http://www.motoinfo.it/public/images/motodepoca/sertum_rid.jpg<br /><br />Sono stati tanti i soldati italiani mandati in guerra ad affrontare l’inverno russo con le suole degli scarponi fatte di cartone, con la biancheria che veniva bollita nelle stesse marmitte in cui si preparava il rancio, per tentare di eliminarne i pidocchi che però continuavano poi a uscire dai polsini e dai colletti. Il freddo, la fame, gli stenti, l’assurdità della guerra: tutte queste cose non ci sono, nelle pur belle foto del post, che mostrano una faccia quasi umana del conflitto, se mai ce ne può essere una (è detto bene: il mito degli Italiani brava gente). <br />C’è un una strada, in alto sui crinali delle Langhe, su cui passava all’epoca una corriera; i contadini chiamati alle armi raggiungevano con ore di cammino quella strada, e prendevano la corriera iniziando un viaggio che li avrebbe portati fino in Russia. <br />Quasi nessuno di loro ha più fatto ritorno.Effenoreply@blogger.com