Questa versione italiana del post è stata scritta per la sezione “Il mondo dello Shtetl”, diretto da noi, nel portale “La biblioteca d’Israele”.
Partendo dalla stazione centrale, la via più breve sarebbe quella di seguire i binari, ma la cosa non risulta possibile e si deve compiere un’ampia deviazione verso la destra della cartina. La strada sterrata passa in mezzo ai piccoli e cadenti immobili degli operai sovietici fino al cimitero di Yanivske, sulla cui entrata grandi lettere bronzee annunciano che lì riposano i martiri ucraini dell’occupazione sovietica del 1939-41. I martiri polacchi ed ebrei dell’occupazione tedesca del 1941-44 non vengono nominati.
L’ham de foc: Los caminos de Sirkeci (Le vie di Sirkeci). Dall’album Amán Amán. Música i cants sefardís d’Orient i Occident.
Là dove Google map mostra un vicolo cieco sopra via Yavorivska, secondo la piccola cartina tascabile comprata a Lviv sembra invece che una viuzza chiamata Morinetska si diriga obliquamente verso l’alto. Ma è giusta l’indicazione di Google. La strada conduce all’interno del sito di una fabbrica. Sembra ne conduca anche al di fuori, ma il grido dell’anziana custode mi richiama già dall’altro lato. “Dove sta andando? Si fermi! Cosa cerca?” “Voglio raggiungere via Tatarbunarska”, faccio vedere sulla cartina. “Oh, ma questa strada è chiusa. Ritornate sulla via principale, e al prossimo angolo c’è una piccola piazza, via Tatarbunarska inizia da lì in su. Багато здоровичка, buona salute a te, mio caro!” dice accarezzandomi un braccio con sollievo.
All’angolo, ho un sobbalzo al cuore. Un singolo binario, da lungo in disuso, arrivando dalla stazione percorre la via verso l’ex centro di riparazione dei treni. Per un centinaio di metri si snoda tra le decadenti case operaie del periodo polacco, e poi improvvisamente ecco i muri del campo, con la torretta di guardia all’angolo.
C’è del movimento nella torretta e, avvicinandomi, sono davvero sorpreso di vedere che ancora oggi una guardia armata con mitragliatrice vigila sulla sicurezza del campo. Preferisco non scattare altre foto, in Iran sono stato costretto a cancellare un’intera memory card per aver fotografato un soggetto similare, devo considerarmi soddisfatto di poter venire via con queste poche immagini. Anche se la parte migliore viene adesso: la strada continua lungo costruzioni che non sono state riparate per settant’anni, e recinzioni di filo spinato per altri duecento metri.
Una donna dalle vicine case operaie rovescia ai piedi del muro degli avanzi per i cani randagi. “Mi scusi, il campo di lavoro degli ebrei era da queste parti?” “Sì, proprio là, dove ora c’è la prigione!” dice indicando il filo spinato. “Andriusha, tu ne sai di più” dice chiamando un uomo che passa in bicicletta. “Sì, era lì. Non solo su questo lato della via, ma anche oltre, e sull’altro lato, dove adesso c’è il cortile dell’officina degli autobus. Ma questo era il centro, dove gli ebrei vivevano, e che è stato convertito in una prigione”, spiega.
Ci allontaniamo della prigione seguendo i binari, e raggiungiamo l’ex officina tedesca di riparazione dei veicoli, che – sorpresa – è ancora un officina di riparazione, con le pareti di loess, la “Sabbia” (Piaski) che si ergono sullo sfondo, dove i tedeschi uccidevano gli anziani dopo la selezione. Tra i binari alcune giovani madri delle vicine case operaie si godono insieme ai loro piccoli la tranquillità della natura.
Prima del cancello dell’officina c’è ancora la struttura in cemento armato della barriera esterna di protezione, con una cisterna di cemento costruita di fronte.
Risalendo il terrapieno sulla destra guardo in basso, all’altro lato di via Tatarbunarska, verso l’altra parte dell’officina militare tedesca convertita nel cortile per la riparazione degli autobus.
Al ritorno, le luci della prigione sono già accese, e un cane lupo vigila all’angolo: mi annusa ma mi lascia passare. Un altro giorno ha termine a Janowska, l’ultimo campo di lavoro tedesco ancora attivo nella stessa struttura e con la medesima finalità nella periferia di Lwów.
Il campo di lavoro di Janowska venne fondato dall’esercito tedesco nel settembre del 1941 come “Deutsche Ausrüstungswerke” (Stabilimento Bellico Tedesco) sotto la supervisione delle SS; operai ebrei vi lavorano in condizioni inumane. I lavoratori forzati venivano scelti tra la popolazione ebraica della città dallo Judenrat istituito nel Ghetto nel giugno 1941, il cui primo responsabile, l’avvocato Josef Parnes, venne ucciso dalla Gestapo nel novembre 1941 proprio per essersi rifiutato di costringere gli ebrei ai lavori forzati. Da ottobre 1942 il campo venne usato anche come centro di raccolta per gli ebrei della Galizia che dovevano essere deportati dalla stazione di Kleparów verso il campo di sterminio di Belżec. Infine, dopo il giugno 1943, con la ritirata tedesca dall’Unione Sovietica ebbe inizio nel campo un progetto di cancellazione su larga scala di ogni traccia: un Sonderkommando composto da 126 robusti ebrei riesumarono in tutta la città, per bruciarli nel campo, i resti di più di centomila ebrei assassinati durante quei due anni. Fu qui che venne ideato un “mulino per le ossa” per sveltire il lavoro, espediente che venne presto esportato da Janowska anche presso altri campi per lo stesso scopo.
Il prototipo del “mulino per le ossa” nel campo di Janowska. Gli operatori sono membri del “Sonderkommando 1005” ebraico: Heinrich Chamaides, David Manuschewitz and Moische Korn
L’orchestra del campo era composta da membri della Filarmonica di Lwów ed era diretta dai famosi direttori d’orchestra Stricts e Mund. Venne utilizzata per coprire i rumori delle torture ed esecuzioni, con un “Tango della morte” composto per questo scopo. Poco prima della liquidazione del campo i tedeschi uccisero tutti i membri dell’orchestra.
L’esercito sovietico occupò il campo il 26 luglio 1944, convertendolo immediatamente nella prigione numero 30. Qui vennero portati gli elementi antisovietici polacchi e ucraini prima della deportazione nei campi di lavoro sovietici dalla stazione di Kleparów. Le vittime uccise nel campo di Janowska o da qui portate a Belżec sono ricordate da una lapide commemorative nel vicino e distrutto cimitero ebraico e da una targa sul muro della stazione: entrambe le cose sono state permesse solo pochi anni fa. Cercherò di scattare le foto della lapide e della targa mentre mi trovo qui. A presto.
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